Tappa 1

Via Rasella

Roma, dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 e la Battaglia di porta San Paolo tra reparti della Wermacht e militari italiani e cittadini in armi, era occupata dai tedeschi.

La Battaglia di Porta San Paolo in cui morirono dalla parte italiana 414 militari e 183 civili
Militari e civili impegnati insieme nella difesa di Roma: è il primo evento della Resistenza in città
La targa posta dal Comune di Roma a Porta San Paolo per celebrare il secondo Risorgimento

L’11 settembre apparve sui muri della Città eterna una ordinanza del feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo di tutte le forze tedesche in Italia che al primo articolo recitava: “Il territorio dell’Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra. In esso sono valide le Leggi Tedesche di guerra”. Seguivano nove articoli in cui i romani venivano privati di molti diritti e di molte libertà. Il primo atto della Rsi, Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, fu di far disarmare le ultime truppe regie rimaste a Roma e il controllo tedesco divenne totale.

L’ordinanza di Kesserling che privava i romani di molti diritti e molte libertà

Il 23 marzo 1944 cadeva il ventiquattresimo anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento, il movimento politico fondato nel 1919 a Milano da Benito Mussolini, e per la ricorrenza i fascisti volevano organizzare un corteo dalla chiesa di Santa Maria della Pietà in piazza Colonna fino al Teatro Adriano in piazza Cavour. I tedeschi, temendo attentati, non approvarono quella scelta e chiesero ai fascisti che la commemorazione avvenisse solamente al chiuso.

 

Due diverse versione dell’annuncio della commemorazione della Fondazione dei Fasci da cambattimento

Il Messaggero del 22 marzo 1944
Il Messaggero del 23 marzo 1944

GapGruppi di Azione Patriottica del Partito Comunista italiano,  comandati a Roma da Giorgio Amendola, per la ricorrenza avevano progettato una azione clamorosa, ma l’improvviso cambio di programma li costrinse a modificare l’obiettivo. Ogni giorno, sempre alla stessa ora, il battaglione di polizia tedesca Bozen, che aveva prestato giuramento di fedeltà ad Hitler, marciava per le strade di Roma. Centocinquantasei uomini – ufficiali, sottufficiali e truppa – in assetto di guerra partivano dal Palazzo del Viminale, ex sede del Ministero dell’interno, dove si erano acquartierati, e attraversavano a piedi il centro di Roma per esercitarsi al poligono di tiro di Tor di Quinto.

Il palazzo del Viminale dove era acquartierato il battaglione Bozen

I Gap decisero che l’obiettivo del loro attentato sarebbe stata quella colonna armata e stabilirono che l’attacco sarebbe avvenuto in via Rasella, sulla strada del ritorno. Una dozzina di partigiani, tra cui molti insigniti di medaglie al valor militare, Rosario BentivegnaCarla CapponiCarlo SalinariFranco CalamandreiRaoul Falcioni, Silvio Serra, Francesco Curreli, Pasquale Balsamo, Laura GarroniDuilio GrigioniMarisa MusuErnesto Borghesi parteciparono all’audace e rischiosissimo assalto ai tedeschi. Ai preparativi dell’attentato presero parte anche Lucia Ottobrini e Mario Fiorentini.

Carla Capponi, medaglia d’oro al valor militare
Rosario Bentivegna, medaglia d’argento e medaglia di bronzo al valor militare
Un gruppo di gappisti romani con i partecipanti all'attentato di via Rasella

I partigiani si incontrarono intorno a mezzogiorno del 23 marzo in piazza Santi Apostoli; meno di due ore dopo Rosario Bentivegna spingeva un carretto da netturbino carico di esplosivo in via Rasella, di fronte a Palazzo Tittoni semiabbandonato. Gli altri gappisti presero posizione, ognuno con un compito ben preciso, tutti aspettavano l’arrivo dei tedeschi.

Mappa dell'attentato realizzata da Emanuele Mastrangelo

La colonna ritardava, sembrò che l’attacco potesse fallire, quando il canto della colonna in marcia annunciò che i tedeschi erano in arrivo. I militari, tutti avevano fucili con il colpo in canna e bombe a mano alla cintura per il timore di attentati, imboccarono via Rasella; al segnale convenuto Bentivegna accese la miccia sapendo di avere pochi secondi per allontanarsi dal luogo dell’esplosione. Passò meno di un minuto e una violenta deflagrazione investì verso la metà la colonna, contemporaneamente altri partigiani attaccarono da via del Boccaccio lanciando quattro bombe da mortaio modificate e fuggirono.

I tedeschi superstiti spararono all’impazzata intorno a loro sulla strada, credendo che l’attacco fosse venuto dall’alto, dalle finestre: non avevano capito da dove era partita l’esplosione. Alla fine della sparatoria morirono ventisette soldati tedeschi e sei civili, nessuno dei gappisti venne ferito o catturato.

Soldati del regimento "Bozen" in via Rasella subito dopo l'attentato.
I resti dei militari del battaglione Bozen caduti nell'attentato adagiati sul ciglio della strada
Un soldato tedesco a terra in via Rasella

I tedeschi rastrellarono sul posto dieci passanti del tutto estranei all’attentato, dieci di loro finiranno il giorno dopo alle Fosse Ardeatine e vennero uccisi con un colpo alla nuca.

Passanti rastrellati in via Rasella subito dopo l'attentato
Fascisti italiani affiancano i tedeschi nel rastrellamento dei civili che si trovavano per caso in via Rasella
Fascisti italiani affiancano i tedeschi nel rastrellamento dei civili che si trovavano per caso in via Rasella
La lapide che ricorda i 10 cittadini rastrellati sul posto dopo l'attentato e finiti alle Ardeatine

Prima delle 16:00 la notizia dell’esplosione si diffuse, arrivarono sul posto in rapida successione il questore di Roma Pietro Caruso, il generale tedesco a capo della piazza di Roma Kurt Maelzer (visibilmente ubriaco), il diplomatico e colonnello delle SS naziste Eugen Dollmann e, poco dopo, il console tedesco Eitel Friedrich Moellhausen accompagnato dal ministro dell’interno del governo fascista Guido Buffarini Guidi.

 

Il questore di Roma Pietro Caruso che il giorno successivo all’attentato stilò la lista dei 50 uomini da avviare alle Fosse Ardeatine
Il ministro dell’interno del governo fascista Guido Buffarini Guidi legato a doppio filo ai gerarchi nazisti

Arrivò il comandante a Roma della Gestapo, la polizia segreta della Germania nazista, Herbert Kappler, al quale venne affidato il compito di indagare sull’esplosione. La notizia dell’attacco in via Rasella arrivò all’Oberkommando der Wehrmacht, quartier generale del Reich, Adolf Hitler venne informato, la prima reazione del Führer fu quella di ordinare una rappresaglia “che faccia tremare il mondo”: qualcuno propose di radere al suolo l’intero quartiere.

Kappler in compagnia di un collega tedesco e due ufficiali dell'Esercito italiano dell'Africa orientale

L’attacco di via Rasella ha rappresentato il più sanguinoso e clamoroso attentato urbano contro gli occupanti tedeschi avvenuto in tutta l’Europa occidentale.

 

Rosario Bentivegna disse che l’attacco serviva a “scuotere la popolazione, eccitarla in modo che si sollevasse contro i tedeschi”; Giorgio Amendola, in una deposizione contro Kappler nel 1948 per la Strage delle Fosse ardeatine, affermò che l’azione voleva indurre i tedeschi al rispetto dello status di Roma città aperta, per smilitarizzare il centro urbano; una Commissione storica italo-tedesca nel 2012 confermò che l’attentato era volto a contrastare l’occupante e “scuotere la maggioranza della popolazione civile dallo stato di attesa passiva in cui versava”.

 

Comunicato del comando tedesco del 25 aprile 1944 che parla di un attacco in via Rasella di comunisti

La giustizia italiana che nel dopoguerra si occuperà della vicenda stabilì, in tutte le sentenze emesse, civili e penali, che si era trattato di un atto di guerra legittimo in quanto riferibile allo Stato italiano allora in guerra con la Germaniapaese occupante.

I muri dei palazzi di via Rasella in cui sono ancora oggi visibili i fori delle schegge e degli spari

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