Il Tempio Maggiore è la principale sinagoga di Roma e segue il rito italiano. Fu costruito tra il 1901 e il 1904 in Lungotevere de’ Cenci su uno dei quattro lotti di terreno ricavati demolendo le più fatiscenti aree del Ghetto. Si trova di fronte all’isola Tiberina ed è il simbolo della comunità ebraica romana.
La maggiore sinagoga di Roma in lungotevere de’ Cenci, di fronte all’unica isola della città
Per gli ebrei romani il Tempio Maggiore rappresenta, oltre che un luogo di preghiera, un fondamentale punto di riferimento culturale e ospita il museo ebraico di Roma. Fanno capo alla Sinagoga tutti gli organismi religiosi e amministrativi che regolano la vita della comunità.
La sinagoga è anche la sede del Museo ebraico di Roma
Gli ebrei romani avevano subito la vergogna delle leggi razziali emanate dal fascismo con discriminazioni, violenze e ogni tipo di persecuzione. Secondo le leggi emanate tra settembre e novembre 1938, era considerato di “razza ebraica” chi era nato da un genitore ebreo (escluso chi al primo ottobre 1938 appartenesse a un’altra religione), chi avesse entrambi i genitori di “razza” ebraica – anche se professava una religione diversa -, chi fosse stato generato da un matrimonio misto e professasse la religione ebraica. Questa aberrante classificazione portò a una meticolosa schedatura di quelli che i fascisti consideravano esseri inferiori. Una schedatura che permise ai tedeschi di compiere la persecuzione più eclatante avvenuta a Roma: il rastrellamento del ghetto.
La piazza del Ghetto intitolata alla data in cui avvenne il rastrellamento
Reparti delle SS, coadiuvati da funzionari del regime fascista della Repubblica Sociale Italiana, tra le 5:30 e le 14:00 di sabato 16 ottobre 1943, ricordato come il Sabato nero, strapparono dalle loro case del ghetto e nel resto della città milleduecentocinquantanove persone: seicentottantanove donne, trecentosessantatré uomini e duecentosette bambini, quasi tutti appartenenti alla comunità ebraica romana. Alcuni di sangue misto o stranieri vennero rilasciati, milleventitré furono deportati – su dei vagoni blindati partiti dalla stazione Tiburtina – al campo di sterminio di Auschwitz. Morirono di stenti o nelle camere a gas in millesette, quindici uomini e una donna tornarono a casa. Nei mesi successivi, mentre una gran parte di romani cercava di nascondere gli ebrei scampati alla cattura, alcuni di loro vennero rintracciati e segregati, anche grazie alle ricompense che venivano elargite ai delatori e alla collaborazione dei fascisti.
Le oltre mille persone rastrellate nel Ghetto restarono sui camion in via della Lungara per due giorni
Alle ore 23.00 del 22 ottobre i prigionieri partirono dalla stazione Tiburtina in vagoni piombati per Auschwitz
Quando Kappler iniziò a stilare la lista delle persone da fucilare alle cave Ardeatine, inserì i nomi dei prigionieri politici presenti nel carcere tedesco di via Tasso, chiamò il capo del servizio di sicurezza tedesco a Verona, il generale Wilhelm Harster, che gli consigliò di aggiungere i nomi degli ebrei già arrestati dai nazifascisti a Roma per completare l’elenco. Si trattava di settantacinque nominativi che finirono nel tragico bilancio delle vittime delle Fosse Ardeatine. Secondo le leggi di Norimberga naziste, gli ebrei uccisi alle Fosse Ardeatine furono settantanove. Il 24 marzo 1946, nel secondo anniversario dell’Eccidio, il rabbino capo David Prato scoprì una lapide sull’edificio del Tempio Maggiore, sul lato di Lungotevere de’ Cenci. Nella lastra comparivano settantuno nomi, tre sono stati aggiunti tra il 2011 e il 2020 perché individuati grazie al test del Dna: Marco Moscati, Marian Reicher, Heinz Eric Tuchman. Sulla lapide compare Alessio Kubjsckin, che non trova riscontro in nessun’altra fonte. Non si sa se il numero degli ebrei uccisi alle Ardeatine sia maggiore perché tuttora ci sono sette corpi non identificati. Secondo la legge ebraica –Halakhà – risultano settantasei ebrei uccisi alle Fosse Ardeatine, quelli riportati sulla lapide del Tempio più la persona battezzata e quella figlia di madre ebrea cresciuta come cattolica. Di questi, sessantasei erano iscritti alla Comunità Ebraica di Roma e una si era dissociata; altri nove ebrei non figurano nell’anagrafe comunitaria perché stranieri o iscritti ad altre comunità.
Quella dei settantasei ebrei assassinati alle Fosse Ardeatine, che erano stati arrestati per motivi razziali, rappresenta la maggiore strage di ebrei compiuta sul territorio italiano durante l’Olocausto.
Le venti pietre d’inciampo della famiglia Di Consiglio in via Madonna dei Monti
Nell’eccidio delle Fosse Ardeatine caddero i sei membri della famiglia Di Consiglio, il nucleo famigliare più numeroso, altri quattordici Di Consiglio morirono ad Auschwitz. Nel 2012, alla memoria di questa famiglia, vennero poste delle pietre d’inciampo a Roma in via Madonna dei Monti. Le pietre sono dei sanpietrini simbolici in metallo ideati dall’artista tedesco Gunter Demnig che vengono posati a terra davanti ai portoni e nelle strade dove avevano vissuto alcune delle vittime del nazifascismo. Nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 2018 vennero divelti e portati via da ignoti razzisti, ma vennero di nuovo installate.