Tappa 7

Mausoleo delle Fosse Ardeatine

In via Ardeatina 174, nella zona di Tor Marancia, dove sorgevano delle cave di pozzolana isolate, si trova il Mausoleo delle Fosse Ardeatine. Il Sacrario è un cimitero civile e militare dedicato alla memoria delle vittime dell’eccidio avvenuto il 24 marzo del 1944, ma è al tempo stesso un Memoriale della guerra di liberazione romana e italiana.

Entrata delle Fosse Ardeatine

La gestione del sito è affidata all’Anfim, Associazione nazionale tra le famiglie italiane dei martiri caduti per la libertà della Patria, che si occupa di organizzare le cerimonie ufficiali e le visite guidate per conto dell’Ufficio per la tutela della cultura e della memoria della difesa del ministero della Difesa. L’ingresso del Mausoleo è una cancellata in bronzo lunga circa sei metri realizzata da Mirko Basaldella, sovrastata da una grande opera in travertino dell’artista Francesco Coccia intitolata “Le tre età”.

L’opera monumentale realizzata dall’artista Francesco Coccia all’ingresso del Mausoleo

Circonda il Mausoleo un muro rustico di pietra sperone; all’interno c’è un piazzale intitolato ai caduti della Strage di Marzabotto, in cui si apre l’accesso alle grotte dove è avvenuto l’eccidio e al sacrario che custodisce le salme dei caduti; all’esterno è allestito un piccolo museo.

Nel Mausoleo c'è un piccolo museo con oggetti, immagini, giornali e documenti

Quel 24 marzo 1944 vennero trucidati trecentotrentacinque uomini: civili, militari italiani, prigionieri politici, ebrei e detenuti comuni. Il giorno prima c’era stato l’attentato partigiano dei Gap, Gruppi di Azione Patriottica del Partito Comunista italiano, romani in via Rasella in cui morirono trentatré soldati del battaglione “Bozen” appartenenti alla polizia tedesca. Rispondendo a una richiesta dello stesso Hitler, la strage fu decisa e programmata dai comandanti in Italia della Wermacht. L’eccidio delle Ardeatine fu realizzato dal capo della Gestapo a Roma, Herbert Kappler, e dalle sue SS. Kappler, responsabile per i tedeschi dell’ordine pubblico a Roma, si era macchiato il 16 ottobre 1943 della razzia del ghetto ebraico, della deportazione di oltre mille ebrei romani verso i campi di sterminio e di innumerevoli crimini contro chi si opponeva all’occupazione nazifascista della città.

Herbert Kappler ha organizzato e diretto l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Per dare l'esempio ha sparato personalmente alla nuca dei prigionieri

Contrariamente ad alcune fake news fatte circolare, l’eccidio non fu preceduto da alcun preavviso da parte tedesca. Al contrario, le Cave furono scelte dai tedeschi perché – isolate e lontano dal centro abitato – rappresentavano il luogo ideale per compiere una strage senza rischiare il sollevamento della popolazione.

Quando Kappler stava ultimando la lista degli uomini da fucilare, si incontrò con il generale Maelzer, il generale tedesco a capo della piazza di Roma, per riferire e trovò il maggiore Hellmuth Dobbrick (noto come Hans Dobek), comandante del polizeiregiment Bozen attaccato in via RasellaMaelzer ordinò a Dobbrick di far eseguire ai suoi uomini la fucilazione dei prigionieri. Il maggiore rifiutò di obbedire a questo ordine affermando che i suoi soldati, per la maggior parte cattolici, non erano in grado di eseguire delle fucilazioni così feroci “nel breve tempo a disposizione”. Maelzer compì altri tentativi di reperire gli esecutori del massacro tra le truppe tedesche a Roma, ma senza successo. Alla fine decise di assegnare direttamente a Kappler e ai suoi uomini il compito delle esecuzioni chiedendogli di partecipare personalmente per “dare l’esempio”. Kappler stabilì che il suo stretto collaboratore, il capitano Erich Priebke, avrebbe controllato la lista degli uomini da fucilare e che il capitano Carl Schütz avrebbe diretto le uccisioni impiegando “non più di un minuto per ogni uomo“.

Il capitan Erico Priebke capitano delle SS, criminale di guerra, condannato per la Strage delle Ardeatine

Il luogo scelto per le esecuzioni, le cave ubicate tra le catacombe di san Callisto e le catacombe santa Domitilla, avevano tre accessi ed erano un labirinto di gallerie collegate di quattro metri di altezza, tre metri di larghezza e lunghe da trenta a novanta metri. La strage iniziò poco dopo le 15:30 dopo l’arrivo dei primi camion dal carcere di via Tasso e da quello di Regina Coeli. I prigionieri, con le mani legate, venivano introdotti in gruppi di cinque nelle gallerie semibuie, illuminate dalle torce elettriche dei soldati tedeschi. All’ingresso delle Grotte, Priebke chiedeva il nome al condannato e lo spuntava dalla lista che conteneva trecentotrentacinque nomi.

I resti dei corpi accatastati nelle cave Ardeatine scoperti oltre due mesi dopo l'eccidio

Terminato il controllo il gruppo di uomini veniva portato in fondo a una delle gallerie, fatto inginocchiare con i carnefici alle spalle e, come Schütz impartiva l’ordine, cinque soldati tedeschi sparavano un colpo di pistola sui prigionieri, dall’alto in basso sul collo, all’altezza del cervelletto per ottenere una morte immediata. Anche Kappler e Priebke presero parte alle esecuzioni. Negli ultimi turni di esecuzioni gli uomini dovettero salire sulla massa di cadaveri accatastati formando pile di corpi sempre più alte. Tutti i soldati presenti presero parte al massacro, solamente il sottotenente Günther Amonn, totalmente sconvolto, non sparò e venne allontanato. Mentre proseguivano le fucilazioni, mancavano ancora i cinquanta nominativi chiesti da Kappler al questore fascista di Roma Caruso.

Il questore di Roma Pietro Caruso che ha fornito a Kappler la lista di 50 uomini finiti alle Ardeatine

Il tenente Tunnat e il sottotenente Kofler arrivarono a Regina Coeli, constatarono che la lista non era ancora stata completata e radunarono gli uomini indicati da Caruso aggiungendo dei prigionieri a caso, compresi dieci detenuti che dovevano essere rilasciati. Partirono due convogli, uno con trenta e l’altro con venti prigionieri, che arrivarono alle Ardeatine quando era sera. Ma prima di terminare le esecuzioni, Priebke verificando il numero dei morti si accorse che c’erano cinque uomini in più dei trecentotrenta previsti e informò il colonnello Kappler. Il comandante delle SS decise di procedere all’eliminazione anche di questi ostaggi perché, come riferito dal maggiore delle SS Karl Hass, durante il secondo processo del dopoguerra, “avevano visto tutto”. Al termine dell’eccidio i soldati tedeschi del genio fecero esplodere con le mine le entrate alle cave per mantenere l’assoluta segretezza sull’eccidio. Alcuni religiosi salesiani, che facevano da guide alle catacombe, nella notte entrarono nelle cave e videro l’orrore dei cadaveri ammassati in gruppi alti oltre un metro e mezzo.

L'entrata alle gallerie delle cave Ardeatine chiusa dalle cariche fatte esplodere dai tedeschi dopo la strage

L’Alto comando tedesco alle 22:55 del 24 marzo diramò un comunicato trasmesso dall’Agenzia Stefani e pubblicato il giorno seguente sul “Messaggero”. “Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bombe contro una colonna tedesca di polizia di transito in via Rasella, in seguito a questa imboscata, 32 uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono ancora in atto le indagini per chiarire fino a qual punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano. Il Comando tedesco ha deciso di stroncare l’attività di questi banditi. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca. Il Comando germanico ha, perciò, ordinato che, per ogni tedesco ucciso, 10 criminali comunisti badogliani siano fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”.

Comunicato del comando tedesco del 25 marzo 1944. Quest'ordine è già stato eseguito

Mussolini parlò telefonicamente con il ministro Buffarini Guidi giustificando la rappresaglia, mostrandosi solamente preoccupato per la possibile reazione della popolazione di Roma, aggiungendo che ai tedeschi “non si può rimproverare nulla: la rappresaglia è legale, è sanzionata dai diritti internazionali”.

 

Buffarini Guidi con Himmler. Il ministro della RSI autorizzò la consegna di 50 detenuti ai tedeschi

La Convenzione dell’Aia del 1907 proibisce la rappresaglia contro un’intera popolazione per fatti di cui non è responsabile, mentre la Convenzione di Ginevra del 1929, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, fa esplicito divieto di atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra.

Dalle salme identificate, di sette ancora oggi non si conosce l’identità, trentanove erano ufficiali, sottufficiali e soldati appartenenti alle formazioni clandestine della Resistenza militare, cinquantadue erano aderenti alle formazioni politiche che partecipavano alla Resistenza, settantasei erano ebrei.

Il Sacrario con 335 tombe

Albert Kesselring fu processato e condannato a morte il 6 maggio 1947 da un tribunale militare britannico per crimini di guerra e per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, sentenza commutata nel carcere a vita. Nel 1952 fu scarcerato per motivi di salute e fece ritorno in Germania. Morì nel 1960 per un attacco cardiaco.

Albert Kesserling, rientrato in Germania dichiarò che gli italiani dovevano essergli grati e che avrebbero fatto bene a erigergli un monumento

Herbert Kappler venne processato nel 1948 da un tribunale militare italiano. I giudici stabilirono che l’eccidio delle Fosse Ardeatine, per la sua sproporzione e per le sue modalità, non si poteva in alcun modo considerare una rappresaglia legittima in base al diritto internazionale bellico: era un ordine oggettivamente illegittimo. Purtuttavia i giudici non ritennero provato che Kappler avesse avuto la coscienza e la volontà di eseguire un ordine illegittimo e lo prosciolsero dall’accusa limitatamente a trecentoventi degli uccisi. Al tempo stesso Kappler venne ritenuto colpevole dell’omicidio delle restanti quindici persone che morirono per effetto di ordini di Kappler. Pertanto fu condannato all’ergastolo con sentenza passata in giudicato e rinchiuso in carcere. Colpito da un tumore inguaribile, nel 1976 fu ricoverato nell’ospedale militare del Celio, da cui riuscì a evadere il 15 agosto 1977 e si rifugiò in Germania. Pubblicamente acclamato dai neonazisti al suo ritorno in patria, vi morì nel 1978.

Una immagine del processo a Herbert Kappler nel 1948

Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, nel 1995 venne arrestato ed estradato in Italia per essere processato. Condannato all’ergastolo per la Strage delle Ardeatine, morì a Roma l’11 ottobre 2013.

Erich Priebke durante il processo in cui è stato condannato all'ergastolo

L’eccidio delle Fosse Ardeatine, il rastrellamento del Ghetto e il rastrellamento  del  Quadraro rappresentano gli eventi-simbolo della ferocia dell’occupazione nazifascista di Roma.

Uno dei cadaveri riesumato dopo la liberazione di Roma
La targa all'interno dei cunicoli dedicata al prof. Attilio Ascarelli che si è occupato dell'identificazione dei corpi

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