Il carcere di Regina Coeli è lo storico carcere della Città Eterna, tuttora in funzione. Si trova nel popolare quartiere di Trastevere, in via della Lungara 29, all’altezza di Ponte Mazzini, per una gran parte sotto il livello della strada che costeggia il Tevere. Dall’architettura originale e composto da bracci, nacque nel 1654 come monastero carmelitano, per poi essere trasformato nel 1881 in istituto di reclusione con il neonato Regno d’Italia.
Alla fine dell’Ottocento venne acquisito un altro istituto religioso adiacente abitato da suore che indossavano un lungo mantello, per essere adibito a sezione femminile, il Carcere delle Mantellate. Con l’avvento del regime fascista divenne tristemente noto per i soprusi contro gli avversari della dittatura.
Dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio del 1943 e l’istituzione del governo Badoglio, nel carcere di Regina Coeli vennero reclusi esponenti del regime fascista – gerarchi, prefetti, giornalisti – che si erano distinti nella repressione degli oppositori. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la battaglia vinta dai tedeschi a Porta San Paolo, i nazisti occuparono la città e le SS gestirono direttamente il terzo e il sesto braccio – riservato ai prigionieri politici – del carcere romano.
La prigione di Regina Coeli e la struttura di via Tasso diventarono i luoghi principali delle persecuzioni contro coloro che si battevano per la libertà. Diverse centinaia gli antifascisti imprigionati e torturati, molti dei quali fucilati a Forte Bravetta. Prima della liberazione di Roma, il carcere divenne anche uno dei principali luoghi per la deportazione di ebrei e oppositori politici arrestati a Roma e provincia. Nelle celle di Regina Coeli, in condizioni di vita durissime si trovarono esponenti del partito d’Azione, comunisti, socialisti, democristiani, monarchici; coloro che non avevano risposto all’arruolamento forzato nelle file di Salò del bando Graziani, disertori, madri di famiglia, preti, studenti, insegnanti, ebrei, operai, borghesi e chiunque lottasse per la libertà. A Regina Coeli finirono i prigionieri già stremati dalle torture dei nazisti del carcere di via Tasso e da Regina Coeli partivano quello che dovevano essere sottoposti agli interrogatori in Via Tasso.
Il 24 marzo 1944 da Regina Coeli fu prelevata la maggior parte degli uomini che morirono nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Nella lista vennero inseriti prima i condannati a morte, poi tutti i condannati per reati politici e infine, per arrivare al numero di trecentotrenta, vennero presi dei prigionieri scelti a caso, in una folle corsa verso la strage
La mattina di quel venerdì 24 marzo alle 07:00, Kappler telefonò alla polizia fascista perché collaborasse alla realizzazione di quella che i tedeschi chiamarono rappresaglia. Alle 14 partirono i primi camion diretti verso le cave sulla via Ardeatina. Ventiquattro ore dopo l’attacco di via Rasella, la lista degli uomini da fucilare non era ancora completa e Kappler chiamò il questore di Roma Caruso e il commissario Alianello per ricevere ancora nominativi da inserire nella lista. Caruso chiamò il ministro dell’Interno fascista Buffardini Guidi che lo autorizzò. Intorno alle 19:30 la lista venne consegnata ai tedeschi dalla polizia fascista della Repubblica di Salò e cinquanta uomini vennero fatti salire sull’ultimo camion destinato alle Fosse Ardeatine.
Il 24 gennaio 1944 avvenne una rocambolesca fuga di prigionieri, tra cui due futuri presidenti della Repubblica, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, grazie a un finto ordine di scarcerazione. I due erano in attesa che venisse eseguita la condannati a morte dalle SS tedesche, dopo che il 18 ottobre 1943 erano stati arrestati dai nazifascisti, portati nel carcere di via Tasso e successivamente tradotti nel reparto nazista di Regina Coeli.
Mano a mano che l’arrivo degli Alleati a Roma diventava più prossimo, i tedeschi prepararono la ritirata: una delle misure adottate fu quella di sostituire nella custodia del carcere romano reparti provenienti dall’Alto Adige, come il battaglione Bozen attaccato in via Rasella. Il 4 giugno 1944, quando Roma si apprestava a festeggiare l’arrivo degli alleati, il Comitato di liberazione nazionale decretò l’immediata scarcerazione dei prigionieri politici. Centinaia di reclusi del sesto braccio uscirono dalle celle, raccolsero i propri documenti dall’ufficio matricola tedesco e si ritrovarono, liberi, tra la folla romana accorsa ad accoglierli.
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